La Breccia della laicità compie 150 anni

di Maria Mantello

Maria Mantello durante il discorso del 20 settembre porta Pia a Roma

Nella ricorrenza del 20 settembre, penso sempre al grande sindaco di Roma Ernesto Nathan che ben chiara aveva la svolta progressista impressa alla storia dalla Breccia di Porta Pia. Nel suo discorso di insediamento in Campidoglio il 2 dicembre 1907 affermava «Noi guardiamo all’avvenire. Noi guardiamo attraverso la breccia di Porta Pia», prospettando un programma di radicale rinnovamento (che avrebbe realizzato) per l’emancipazione individuale e sociale all’insegna della libertà e giustizia.

A quel nuovo patto di cittadinanza democratica apriva la Breccia della laicità. Con la caduta del papa re, si affermava la libertà dell’Italia, dell’Europa, del mondo dall’universalismo cattolico. Non era solo Roma a essere liberata. E Nathan non mancava di ricordarlo in occasione delle celebrazioni istituzionali del 20 settembre: «Per la breccia di Porta Pia entrò il pensiero civile e umano, la libertà di coscienza, abbattendo per sempre la muraglia di una Bastiglia morale: il potere temporale dei papi. Nel suo alto significato filosofico e universale questa è la festa del popolo per i popoli».

Quale rappresentante delle istituzioni pronuncerebbe analoghe parole oggi?

Negli anni si è assistito a un progressivo defilarsi dei rappresentanti delle istituzioni sul luogo della Breccia il 20 settembre. Ed è quanto si prospetta ancor più per questo 20 settembre: vuoi per la chiamata alle urne degli italiani per il referendum sul taglio dei parlamentari e le contemporanee elezioni amministrative (ma proprio il 20 settembre si doveva scegliere?), vuoi per il Covid, sulla presenza delle istituzioni sul luogo della Breccia pare regni il più assoluto riserbo.

Zitte Zitte, faceva dire alle famose oche della leggenda, Carducci nel suo Canto dell’Italia che va in Campidoglio, dove ridicolizzava la pavidità governativa che si preoccupava di non disturbare
troppo il Vaticano con quell’insediamento.

E non è il segno ancora dell’oggi, per una classe politica che sembrerebbe spinta verso la completa rimozione della Breccia della laicità?

Eppure, quell’evento continua a essere il simbolo della svolta storica, raffigurata in quella statua della vittoria (Nike) che svetta sulla stele posta sul luogo della Breccia nel 1895, quando fu istituita la festività nazionale del 20 settembre, poi soppressa da Mussolini nel 1929 in occasione della firma dei Patti lateranensi che avrebbero ridato alla Chiesa privilegi politici ed economici. Riconfermati se non ampliati nel rinnovo del Concordato del 1984.

Questa festa nazionale non venne più ripristinata, neppure con la nascita della Repubblica: inascoltate le richieste progressiste e neppure discussi i progetti presentati in Parlamento. Anzi si è cercato, come dicevamo, di relegare questa data e il Risorgimento nell’obsolescenza. E non riuscendoci, a mettere in campo inquietanti operazioni di falsificazione della storia: dal papa protagonista di quell’unificazione italiana (al contrario l’ha sempre osteggiata), ai tentativi di parificazione tra chi combatteva per la liberazione e chi al contrario voleva continuasse la teocrazia.

Operazioni di manomissione storica, funzionali alle alleanze di poteri reazionari a cui la democrazia va stretta e anche l’Unità d’Italia. Avere memoria del XX settembre significa allora rinnovarne il suo significato storico di baluardo della laicità, che è pubblico riconoscimento di poter gestire in libertà e responsabilità il proprio progetto esistenziale, nell’affrancamento dall’arroganza dogmatica e dai suoi sacramentati rapporti di potere.

Avere memoria del XX settembre significa mantenerne il suo ruolo storico di baluardo contro i mai dismessi sogni clericali che, utilizzando strumentalmente il linguaggio democratico e progressista, cercano nella crisi generalizzata dell’economia e della politica in cui versa il nostro Paese, di  iconquistare il controllo della società.

E in questo trovano facili alleati nelle schiere di governanti che compensano la mancata realizzazione di concrete politiche per la promozione di libertà e giustizia con l’esibizione di un fideismo da operetta, esibendo come monili, croci, madonne e santi.

Mentre non mancano di assecondare la rivincita su porta Pia della Chiesa, che oggi è soprattutto un batter cassa per ottenere sempre maggiori finanziamenti da uno stato italiano nel ruolo di maggior benefattore del Vaticano, che grazie all’astorico Concordato incamera annualmente miliardi di euro (8‰, esenzioni di fatto dal pagamento delle bollette per i consumi energetici, dispensa da imposte e tasse sulla miriade delle sue redditizie attività: dagli ex monasteri ed ex collegi trasformati in alberghi a più stelle, strutture educative e sanitarie cattoliche… E tanto altro ancora).

Quella Breccia sta lì a ricordarci che il 20 settembre del 1870, quando i nostri bersaglieri entravano a Porta Pia il papa perdeva il suo il trono.

Il papa-re era quel Pio IX che di fronte ai processi di emancipazione politica, sociale e culturale proclamava il dogma dell’Immacolata concezione (1854); riaffermava con il Sillabo (1864) la centralità del potere papale e della Chiesa cattolica e lanciava i suoi anatemi contro libertà di pensiero, coscienza, insegnamento.

E che proprio qualche mese prima dalla famosa breccia, mentre intensificava la repressione sui suoi domini con centinaia di arresti di patrioti o sospettati tali, ribadiva l’infallibilità del pontefice
romano con la costituzione Pastor Aeternus (18 luglio 1870).

Pio IX, che non riconosceva il giovane Stato italiano e ne aveva scomunicato re – parlamento -governo, si era opposto ad ogni tentativo diplomatico per l’annessione di Roma e aveva voluto che la “Questione Romana” si risolvesse militarmente. Alle ore 10 del 20 settembre 1870 con l’entrata dell’esercito regio attraverso la Breccia di Porta Pia perdeva il suo trono.

Con Roma restituita all’Italia si riannodava il filo rosso della storia della grande tradizione umanistico-rinascimentale-illuminista dell’emancipazione dal potere confessionale. Era l’ultima tappa del Movimento storico per la liberazione di Roma, espresso già dal Comune di Arnaldo da Brescia, dalla Repubblica di Cola di Rienzo, dalla Repubblica giacobina del 1798, dalla Repubblica del 1849 che proclamava la libertà dalla religione svincolando il cittadino dal credente: «Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici» era sancito nei principi fondamentali della sua Costituzione.

Il Risorgimento dei diritti umani e della libertà, aveva la meglio sulla teocrazia con quella Breccia della libertà.

E ben lo compreso i romani che in quel XX settembre scendevano in massa per le strade sventolando il Tricolore e gridando Viva Roma libera! Viva la Libertà! Riappropriandosi anche del Campidoglio, dove mettevano in fuga gli zuavi pontifici e issavano sulla torretta la bandiera italiana.

La canzone popolare contro gli zuavi che inneggiava alla cacciata di quella truppa straniera col suo ritornello «Va’ fuori d’Italia! che l’ora è arrivata, va’ fuori straniera» era diventata l’inno della riscossa ed era su tutte le bocche, come racconta lo storico militare Attilio Vigevano nel suo La fine dell’Esercito pontificio.

(19 settembre 2020)

Micromega